La chiesa parrocchiale
di Lorenzo Antonini

La chiesa parrocchiale di Dossobuono è sempre stata dedicata a S. Maria Maddalena come ancora si legge nell’iscrizione posta sopra il portale principale.
Per iniziativa dell’allora parroco don Luigi Castagna, il 6 agosto 1936 con atto del notaio Antonio Cicogna procedette all’acquisto di un’area su cui edificare la nuova chiesa. L’area era di proprietà degli Istituti Ospitalieri di Verona.
Questa scelta incontrò poi la generosità dei fratelli Adele e Augusto Mariotto che a loro spese fecero costruire l’attuale edificio.
La prima pietra del nuovo tempio fu benedetta domenica 31 agosto 1941 dal vescovo di Verona mons. Girolamo Cardinale.
Progettista fu l’ing. Enea Ronca (1904-1994), coadiuvato dall’ing. A. Fontebasso e dall’arch. E. Fagiuoli (1884-1961) durante il periodo in cui subì la prigionia. I lavori infatti proseguirono alacremente tanto che nel 1943 si potevano considerare conclusi.
Per l’apertura al pubblico si attese però la fine della guerra e il 23 ottobre 1945 avvenne infatti la solenne consacrazione.
Lo stile della chiesa si ispira alle chiese romaniche del ‘700 soprattutto nella sontuosità della facciata, dove si stagliano le statue opera dello scultore Beniamino Falda di Tavernelle Vicentina. Queste statue rappresentano santi e sante legate ai nomi della famiglia dei donatori Mariotto. Sul lato sinistro della facciata si trovano quelle di santa Stella e san Felice, mentre sul lato destro quelle di san Augusto e santa Maria Maddalena. Sul fianco sinistro sono collocate quelle di santa Irene e san Luigi, sul fianco destro quelle di sant’Antonio da Padova e di santa Adelaide.
Precede l’ingresso principale un protiro sorretto da due colonne.
Anche le porte laterali sono precedute da protiro; sopra l’architrave de quella di destra è collocato lo stemma di papa Pio XII (1939-1958), mentre sopra la porta di sinistra si trova lo stemma del vescovo di Verona mons. Girolamo Cardinale (1923-1954).

Entrando dall’ingresso principale subito si è colti dalle proporzionate dimensioni dello spazio: lunghezza m. 46,20, larghezza m. 24,70, altezza navata centrale m. 17,60.
Lo spazio interno, rivestito di marmi sia sul pavimento che alle pareti, è suddiviso in tre navate da due file di quattro colonne, monolitiche in marmo rosso di S. Ambrogio, di stile corinzio.
Lungo le pareti laterali si trovano le stazioni della Via Crucis, anche queste opera dello scultore vicentino Beniamino Falda.
La decorazione delle pareti, volte e soffitto è opera del pittore veronese Gaetano Miolato (1885-1960).
Le 14 vetrate tonde nella parte alta della navata centrale, realizzate dalla ditta Gibo di Verona e collocate per il Natale 1989, raffigurano gli apostoli e gli evangelisti su cartoni disegnati dal pittore Federico Bellomi (1928-2010).
Il ciclo pittorico

Appena entrati, sopra l’ingresso principale, si può osservare la scena di Gesù che entra trionfante in Gerusalemme, seduto sul dorso di un asino. È una rielaborazione ispirata all’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Nella lunetta in fondo alla navata di destra, dove si trova la cappella dedicata ai caduti di tutte le guerre, è rappresentata la Deposizione dalla croce, con Maria e le altre donne in pianto, ispirata dalla medesima scena dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, come pure l’altra lunetta con la Resurrezione di Lazzaro.
Nella cappella di fronte, dove stava il battistero, le due lunette rappresentano il Battesimo di Cristo ispirato alla medesima scena dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni e il Battesimo di Costantino.
Di fronte all’altare della Madonna si può infatti osservare l’Assunzione di Maria al cielo, mentre a sinistra davanti all’altare del S. Cuore si trova la scena con Trasfigurazione di Gesù, ispirata alla medesima scena del Beato Angelico nel convento di S. Marco a Firenze.
Sul lato destro dell’altar maggiore è rappresentata l’Ultima cena, copia di quella affrescata dal Beato Angelico nel convento di S. Marco a Firenze, mentre sul lato sinistro vi è la Moltiplicazione dei pani.
Infine nell’arcata sopra il presbiterio, entro una cornice con quattro cartigli, vi è la scena di Gesù risorto che si rivolge alla Maddalena, con le parole “Noli me tangere” (non mi toccare).
Degni di nota anche la decorazione del catino absidale con festoni sospesi interrotti in corrispondenza delle due grandi finestre e il fregio floreale che corre sopra la trabeazione delle colonne nella navata centrale. In questo fregio sono inseriti dei tondi con simboli eucaristici e mariani. Merita essere menzionato quello con un libro aperto che si trova sopra il pulpito. Al suo interno, non visibile a occhio nudo, si legge: “CHIESA GIUSEPPE/ DECORATTORE/ ANNO D. 1943/ TEMPO DI GUERRA/ FAME TANTA/ W LA PACE DESIDERATA/ AGOGNATA”.

Soggetto principale del catino dell’abside è il Cristo Pantocratore, il Redentore adorato dagli Angeli. Sta al centro di tutti gli affreschi, è l’alfa e l’omega, punto di partenza e punto di arrivo; tutto converge alla sua figura.
L’organo

La parte centrale dell’abside è ora occupata da un organo a canne donato nell’anno 2000 da mons. Alberto Piazzi.
Caratteristiche tecniche di questo grande strumento musicale: costituito da 795 canne delle quali 690 sono metalliche in lega di stagno al 52%.
Oltre a queste vi sono altre 61 canne in legno di cedro rosso e 44 canne in legno d’abete.
Tutte queste canne sono suddivise tra loro costituendo:
- un gruppo di 500 canne, chiamate grand’organo;
- un secondo gruppo di 207 canne, chiamato organo espressivo;
- un terzo gruppo di 88 canne, chiamato pedale.
Gli altari
In fondo alla navata principale, sotto l’abside si trova l’altare maggiore che si fa notare subito per il suo stile barocco e per la ricchezza di marmi colorati.
Apparteneva alla basilica di S. Anastasia e fu qui trasferito con le balaustre durante i lavori di rifacimento di quel presbiterio. L’altare è opera di Cristoforo Benedetti, architetto e scultore di Castione di Brentonico artista apprezzato non solo nella sua regione, il Trentino, ma anche nel Veneto e, oltre i confini nazionali, in Austria. Unica modifica apportata fu l’inserimento del nuovo ciborio con il tabernacolo opera dell’architetto veronese Ettore Fagioli che nel 1943 utilizzò anche il tronetto di marmo rosso dell’altar maggiore della vecchia parrocchiale. Questo tronetto venne levato, e ricollocato sulla mensa dell’altare della cappella dei caduti che era appunto l’altar maggiore della vecchia chiesa, ponendovi il grande crocifisso ligneo che si trovava precedentemente nella cappella dei caduti.
I due altari laterali di epoca barocca, con le statue lignee della Madonna e del Sacro Cuore, provengono invece dalla chiesa cittadina di S. Sebastiano, distrutta da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale.
L’altare della cappella dei caduti, come già detto, era l’altar maggiore della vecchia chiesa trasferito qui.
Gli arredi lignei
Dietro l’altar maggiore, nell’emiciclo dell’abside, è collocato un coro ligneo di noce. Proviene dalla vecchia parrocchiale dove era stato realizzato su disegno dell’ingegner don Angelo Gottardi verso il 1878 quando furono completati i lavori di ampliamento della vecchia chiesa.

Avvolto alla terza colonna del lato sinistro si nota l’artistico pulpito in noce scolpito, su disegno dell’ing. Enea Ronca, opera della ditta Achille Falcieri. Sui lati dell’ambone sono rappresentati i simboli dei quattro evangelisti: il leone di Marco, l’uomo alato o angelo di Matteo, l’aquila di Giovanni e il bue di Luca.
A destra e sinistra delle navate laterali sono collocati i quattro confessionali che, con le casselle per le elemosine, sono opera dell’artigiano Antonio Marchiori di Dossobuono.
Le tele dipinte



Nel braccio destro e sinistro del transetto sono collocate quattro tele. Le due di destra provengono dalla vecchia chiesa e sono rispettivamente opere di Pietro Liberi (1605-1687) e Anselmo Prendaglio (sec. XVIII).
La tela del Liberi ha per soggetto Maria Maddalena in estasi. Misura cm. 250X150 ed è stata sottoposta a restauro nel 1983-84 da Pierpaolo Cristani. L’opera viene datata tra il 1650 e il 1652. In basso a destra si nota lo scudo con lo stemma della famiglia veronese Alessandri con due ali e la stella in azzurro.
L’altra pala d’altare con cinque santi, fu commissionata dalla famiglia Vertua. Dopo il restauro divennero leggibili, in basso a sinistra, lo stemma della famiglia Vertua e l’iscrizione rovinata: NOB ET REV BENEDICTUS VERTUA F.F. ANNO 1778 (il nobile e reverendo Benedetto Vertua fece fare nell’anno 1778). La tela, misura cm. 230 di altezza per cm. 140 di larghezza, e fu restaurata nel 1985; portava sul retro la seguente scritta: “Anselmus Prendalio di Villa France Pincit 1778”. Il soggetto è un gruppo di santi legati alla devozione locale o della famiglia Vertua. Al vertice la figura di san Giovanni Nepomuceno cui si giunge seguendo gli sguardi in diagonale di santa Eurosia e di san Benedetto. A sinistra in basso si vede S. Antonio abate e sopra a destra S. Antonio da Padova con lo sguardo rivolto a S. Antonio abate.
Nel transetto sinistro si trovano altre due tele donate da mons. Alberto Piazzi.
La prima rappresenta la Vergine con Bambino e una figura di Santo, da identificare probabilmente con il frate S. Felice da Cantalice (1515-1587). La tela misura cm. 288×142 e fu donata alla parrocchia nell’ottobre 1998. L’opera è attribuita alla scuola di Giovanni Battista Piazzetta (1683-1754).
L’altra tela donata nel settembre 2013 rappresenta una Visione di S. Ignazio di Loyola inginocchiato davanti alla Sacra Famiglia. Misura cm. 190×155 ed è attribuita alla scuola di pittura veronese del secolo XVIII, molto probabilmente al pittore Saverio Dalla Rosa (1741-1821).

La cripta
Si tratta di uno spazio non molto ampio, a tre navatelle divise da due file di quattro colonne monolitiche in marmo rosso, sotto l’area del presbiterio. La navata centrale è a doppia abside.
Interessante è la decorazione realizzata in questo ambiente. L’ideatore, certo Renato Bonetto (n. 1897), si ispirò alle figurazioni catacombali, ricche di simboli e di significati non sempre di facile comprensione e si avvalse dell’opera di un giovane pittore di cui è stato tramandato solo il cognome: Vicentini. Tutte le pareti sono infatti decorate con un motivo a croci ed esagoni intrecciati di color rosso mattone mentre soffitto e pennacchi sono ricchi di immagini.
Dietro l’abside anteriore corre un tornacoro che funge da sacrestia, mentre nell’abside posteriore sono murati i busti marmorei dei donatori, i fratelli Augusto e Adele Mariotto.
